Senza titolo (eyes), 2019-2021.
Fotografia analogica (stampa c-print), glitter, colla, gomma crepla o glitter, misure variabili.
La serie “Senza titolo (eyes)” pone le sue basi sulla concezione dell’individuo in quanto essere imperfetto che vede la propria esistenza costantemente divisa fin dal momento della sua nascita, tra diversi emisferi contrapposti. Lungo tutto il suo esistere, durante i vari processi decisionali e all’atto del compimento di ogni azione, egli vive questa polivalenza operando una continua scissione tra ciò che è positivo e ciò che, invece, risulta negativo. Questo processo risulta un elemento imprescindibile da tenere in considerazione anche nella successiva riflessione sulla memoria individuale, propria di ognuno, sulla quale l’opposizione tra bene e male interviene in maniera fortemente influente.
Il nucleo del progetto “Senza titolo (eyes)” è racchiuso all’interno di un album di famiglia, un contenitore di esperienze mnemoniche personali dal quale vengono estrapolati gli scatti raffiguranti tutti quei soggetti incontrati lungo il cammino vitale dell’esistenza, considerati rappresentanti della sfera negativa di quest’ultima. Come in un gioco fatto di contrasti e di trasformazione dei significati, “Senza titolo (eyes)” si anima nel momento stesso in cui queste immagini vengono ricoperte di glitter; la scelta di questo materiale non è casuale, ma rimanda all’utilizzo che di esso se ne fa durante l’atto di rendere perfetto ed accattivante un oggetto che in realtà, senza un intervento riparatore, risulterebbe “difettato”. Così il glitter interviene sulla fotografia per coprire il negativo che si cela all’interno dello scatto, lasciando libera visibilità solo ed esclusivamente agli occhi, trasformati in questo modo nell’unica possibile soglia di fruizione attraverso cui ricercare un collegamento profondo con lo scatto.
L’azione invasiva operata sulla fotografia, già di per sé forte nella sua essenza, assume una potenza ancora maggiore se si considera che, in molte culture, il compimento di atti più o meno evidenti e/o brutali sullo scatto in quanto oggetto della memoria sia portatrice di tabù o sventura. Ma quest’azione, seppure rischiosa, diventa fondamentale per porre l’accento sulla facoltà dell'immaginazione individuale di ricreare un nuovo concetto di immagine, stavolta più interiore che fisico, mutando lo scatto in un portale di accesso entro cui addentrarsi alla volta di un viaggio verso il nucleo dell’anima.
Così gli scambi di sguardi tra il fruitore e gli occhi dell’artista rimasti visibili, e in maniera più estesa il confronto stesso tra la triade artista-opera-fruitore, portano alla plasmazione di un nuovo ricordo che abbandona quell’aura di negatività che lo caratterizzava per diventare occasione per la costruzione delle fondamenta di una nuova memoria, stavolta più intima ed autentica, sicuramente positiva.